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mercoledì 10 luglio 2013

Le aziende del Nord sono ancora competitive

La buona notizia/ Le aziende del Nord sono ancora competitive

Nonostante l'aggressione fiscale di uno Stato incapace di riformarsi, i nostri imprenditori continuano a produrre eccellenze. Quelle che nel mercato mondiale conquistano il podio per qualità e export
competitiviL’Italia può ancora gonfiare il petto in giro per il mondo: in alcuni settori produttivi è la prima esportatrice a livello internazionale. E il Nord può esserne fiero perché la maggior parte dei primati è raggiunta grazie alle sue pmi. Lo scenario emerge dal rapporto I.T.A.L.I.A. – Geografie del nuovo made in Italy, realizzato da Fondazione Symbola, Unioncamere e Fondazione Edison. La ricerca dimostra che il Paese sa ancora sfoggiare eccellenze in grado di conquistare i mercati internazionali. I segnali incoraggianti non arrivano soltanto dalle “quattro A” (arredamento, abbigliamento, alimentazione, apparecchiature industriali) in cui storicamente il made in Italy è competitivo, ma anche da tutti quei comparti in cui il valore aggiunto rappresentato da qualità, innovazione e designrende più complicato l’accesso sul mercato dei Paesi emergenti come la Cina. Secondo l’analisi, che riporta dati del 2011, l’Italia vanta quasi mille prodotti (946 per l’esattezza) ai primi tre posti al mondo per saldo commerciale attivo con l’estero. Le “medaglie d’oro”, ovvero i manufatti per cui il nostro Paese detiene la prima posizione per surplus commerciale con l’estero, sono 235 e fruttano 63 miliardi di dollari.
Nella top ten delle medaglie d’oro si trovano nell’ordine: le calzature con suola esterna e tomaia in cuoio naturale (per cui l’Italia guadagna 2,7 miliardi), macchine e apparecchi per imballaggio (2,5 miliardi), piastrelle e lastre da rivestimento in ceramica verniciate o smaltate (2,5 miliardi), borse in pelle (2,2 miliardi), occhiali da sole (1,9 miliardi), pasta (1,8 miliardi), cuoio a pieno fiore conciato (1,8 miliardi), barche e panfili da diporto (1,6 miliardi), conduttori elettrici (1,4 miliardi), e parti di macchine per imballaggio e altri apparecchi (1,4 miliardi). Se andiamo a vedere quali sono i protagonisti di questi record incontriamo in quasi tutti i comparti soprattutto compagnie del Nord. La sola brillante eccezione, per i primi dieci prodotti, è la pasta, dove fanno la voce grossa anche le compagnie meridionali. Prendiamo la vetta: le calzature e gli stivali in pelle e cuoio. In questo tipo di produzione, i cinesi arrancano per criticità tecniche – lavorare suole in cuoio è un’operazione complicata – e di costo. I campioni della pelletteria italiana si trovano in Toscana, dove nel polo fiorentino del lusso si addensano reti di piccole imprese che lavorano conto terzi e servono le griffe più prestigiose. Per il design e la produzione di materie tessili per uomo e donna, altra punta di diamante del nostro manifatturiero, il fulcro delle attività diventa la Lombardia, in cui accade molto più di frequente che le imprese del comparto si coalizzino per organizzare iniziative comuni di promozione per i brand e i prodotti. Lo stesso rapporto indica come esempio di eccellenza il progetto “Milano Unica”, il salone italiano del tessile che, mettendo insieme quattro fiere (Ideabiella, Ideacomo, Moda In, Shirt Avenue) punta a sostenere il meglio della produzione nel settore. Passiamo all’altro fiore all’occhiello: le macchine per imballaggio. Anche in questo comparto la concorrenza dei Paesi asiatici riesce a concentrarsi solo nei prodotti a basso valore aggiunto ma non riesce a tenere il passo nelle produzioni più avanzate a livello tecnologico. Qui, è l’Emilia Romagna a detenere la leadership dal momento che molte delle principali aziende che si occupano di packaging sono insediate nel Bolognese (Sacmi, Gruppo Seragnoli, Ima, Tmc, Marchesini) o nel Piacentino (Scm Group).
competitivi_1Le medaglie d’oro brillano, ma anche quelle d’argento, ovvero le produzioni per cui l’Italia detiene ilsecondo posto nell’export, contribuiscono a salvare la nostra industria. Ne sono 390 in tutto e valgono un saldo commerciale di 74 miliardi. Anche in questo caso, i maggiori produttori sono le “multinazionali tascabili” sparse al di qua e al di là del Po. La seconda posizione più rilevante in termini di saldo commerciale con l’estero è quella nei vini e spumanti, che ci fa guadagnare 4,7 miliardi di dollari: siamo dietro soltanto ai “cugini” francesi. Subito dopo, il comparto dellarubinetteria e del valvolame, in cui l’Italia riesce a giocare un ruolo di primo piano grazie alle imprese medie e medio-grandi che trovano spazio in due distretti industriali determinanti per l’economia nostrana: quello bresciano di Lumezzane e quello piemontese del Lago d’Orta-Valsesia. Il caso esemplare fornito dal dossier, le Officine Rigamonti di Valduggia, nel Vercellese, è particolarmente significativo: l’azienda – si legge – «negli ultimi vent’anni ha vissuto una vera rivoluzione: prima le produzioni speciali, a maggiore valore aggiunto, valevano solo il 30% del suo fatturato, ora la quota è quasi triplicata». A dimostrazione che il coraggio di innovare è l’unica arma per tenere botta tra le spire della globalizzazione. Sempre nella produzione di rubinetti spicca il territorio di Novara, in cui si concentrano alcune dei big player del segmento, come Caleffi, Giacomini, Cimberio, Pettinaroli, Carlo Nobili Rubinetterie e Paini. Quest’ultima ha tra i suoi clientiIkea, segno che in molte realtà la capacità di adattare la produzione alle esigenze del mercato non viene meno neanche nei periodi di crisi. Tra le medaglie d’argento per saldo commerciale con l’estero ci sono anche le navi da crociera, dove si distingue la Liguria, il caffè torrefatto, per il quale ilFriuli Venezia Giulia mette in campo un’eccellenza come Illy, i mobili di legno per cucine, che si concentra in distretti tra cui Monza-Brianza e Pesaro-Urbino.
Non meno importanti sono le medaglie di bronzo: 321 prodotti per cui siamo sul terzo gradino del podio in termini di surplus commerciale e che ci fanno guadagnare 45 miliardi di dollari. L’Italia raggiunge questa piazza – afferma il rapporto – «nelle parti e accessori di trattori e autoveicoli per il trasporto di persone, nelle minuterie e oggetti di gioielleria, negli ingranaggi e ruote di frizione per macchine, nei prodotti di materie plastiche, nei divani e poltrone, nelle parti di macchine ed apparecchi meccanici, nei ponti con differenziale per autoveicoli, nelle costruzioni in ghisa, ferro e acciaio». La lista è lunghissima, e comprende molti altri beni. E per chi crede che alla tenuta di alcuni segmenti della manifattura non facciano da contraltare anche i servizi vale la pena ricordare che nel turismo, area in cui l’Italia ha perso quote di mercato nei confronti di altri competitor internazionali, il segmento dei viaggi enogastronomici fa passi da gigante ed è cresciuto anche nel 2012, con un balzo del 12% e un fatturato stimato tra i 3 e i 5 miliardi di euro. Eccelle, in questo ambito, il Piemonte, che è in testa alla classifica delle venti mete a maggiore vocazione enogastronomica del Paese. Prima di dire che l’Italia è senza futuro dovremo aspettare ancora un po’. Magari davanti a un bicchiere di vino.

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